Laboratorio di scrittura creativa classe 2C
L’astuzia di Chichibio, la dabbenaggine di Calandrino, la sfacciataggine di Frate Cipolla, il mondo del Boccaccio,nella Firenze Trecento, non ci hanno lasciato indifferenti per questo abbiamo pensato di scrivere l’Undicesima giornata….
Vi presentiamo alcune delle novelle da noi inventate sperando di divertirvi.

CALANDRINO E IL MATRIMONIO

In Certaldo fu già un giovane pittore chiamato Calandrino. Egli era di statura bassa e goffo. Certi suoi due amici, Bruno e Buffalmacco, incontrandolo la domenica mattina in chiesa, si accorsero che aveva una borsa strapiena di fiorini d’oro. I loro sguardi maligni si incrociarono ed ebbero entrambi la splendida idea di derubarlo. Durante la celebrazione della Messa i due organizzarono un piano, come erano soliti fare, infischiandosene dei discorsi del frate che parlava già da un quarto d’ora. Verso le due i furbacchioni incontrarono il povero Calandrino per le vie del paese. Gli si avvicinarono sorridenti e Buffalmacco parlò:- Ehi vecchio mio, da quanto non ci si vede? Sai ci sono delle grosse novità! Bruno sta per sposarsi. Le nozze saranno la settimana prossima. Ti va di venire e fargli da testimone?- Il pittore, confuso e ingenuo, ricambiò il saluto e accettò l’offerta. Bruno aggiunse subito:- Vedi di comperarti un bel vestito, uno di quelli eleganti e costosi, sennò farai brutta figura. Dopo queste parole i tre si lasciarono. Il piano malefico messo in atto stava funzionando dato che il pover’uomo era abbastanza credulone. Il giorno seguente Calandrino, tutto eccitato, andò a prendere un abito nella miglior bottega della Toscana. Spese addirittura settecento fiorini! In più comperò anche delle scarpe nere e lucide, nuove di zecca, che gli costarono centotrenta fiorini. Si poteva ritenere soddisfatto. Ogni dì aspettava impaziente l’arrivo del matrimonio ,vantandosi con tutti del suo nuovo vestito. Finalmente, dopo la lunga attesa, il giorno delle nozze si presentò. Appena l’odore del pane fresco di un forno, a pochi passi da casa sua, lo svegliò, si alzò di scatto dal letto. Iniziò a prepararsi: capelli pettinati da un lato, abbigliamento perfetto e scarpe brillanti. Una meraviglia. Un po’ di lavanda per profumarsi e via verso la chiesa. Camminava con passo deciso, con l’aria di uno che si sente superiore a tutti. Era proprio fiero di sè. Avrebbe fatto un figurone e tutti l’avrebbero invidiato.Arrivato in piazza trovò Buffalmacco che gli corse incontro.

– Ma che bell’abito che hai! E le scarpe poi…

– Grazie, grazie.- rispose Calandrino dandosi una certa importanza. Allora il mascalzone disse:- Dai su, che sei in ritardo, Bruno ti sta aspettando impaziente! Il credulone corse veloce ed arrivato al grande portone verde, in legno massiccio, fece per entrare, ma… una rete gli cadde sopra imprigionandolo. Sentì delle voci e svenne. Nel frattempo i due malfattori lo portarono a casa loro e gli tolsero i vestiti che misero con cura in un armadio. In seguito riportarono il pover’uomo, che era ignaro di quanto stesse accadendo, a casa sua. La mattina seguente lo “sciocco” si svegliò stordito e ricordava a malapena ciò che era successo. Oh povero lui! I suoi carissimi abiti erano stati rubati da qualche ladro. Decise di andare al centro del paese. Appena lo vide, Bruno gli corse incontro.

– Perchè non sei venuto al mio matrimonio?! Ti ho aspettato per tantissimo tempo. Non dovevo fidarmi di te!- urlò il furbacchione.

– Ma… io… ecco… mi hanno rubato i vestiti e sono svenuto… Non è colpa mia!- cercò di giustificarsi il pittore.

-Cosa?! Buffalmacco mi ha detto che sei scappato via appena sei arrivato in piazza! Non raccontarmi bugie!- replicò l’astuto andandosene. Calandrino rimasto lì, sconvolto, disse fra sé:- Forse sono diventato sonnambulo… anzi, sono sicuro che qualche strega mi abbia fatto un incantesimo. Povero me… sono proprio sfortunato, me ne capitano di tutti i colori!

C. G.

(Le beffe di qualunque genere)

 

 

GHINO IL FABBRO

In uno degli angoli più smarriti di Certaldo viveva un fabbro, di nome Ghino di Tacco, dall’ aria assai cupa.

Era un povero e triste vecchio che aveva ormai speso gli ultimi spiccioli in un bellissimo martello.

Purtroppo, dopo un solo mese, il martello si ruppe e il misero non sapeva cosa fare.

L’unica cosa che gli venne in mente era provare un incantesimo per trovare qualche soldo.

Perciò accese un fuocherello e, tenendo due spade incrociate perpendicolarmente, recitò un rito magico.

Il mattino seguente, appena si svegliò, vide per terra un sacchetto di monete d’oro con una scritta quasi indecifrabile:” fanne buon uso”.

Ghino fece salti di gioia e meditò su come spe
ndere la cifra.

Pensò al gioco d’azzardo, dato che ormai era molto fortunato, e il giorno dopo, senza scrupoli, andò in città a giocare.

Appena entrato a Firenze, rimase abbagliato da questo ambiente pieno di fiere, mercati e botteghe.

Dopo un po’ si incamminò in un vicolo buio e sinistro che ospitava un piccolo locale:” Vinci o Bevi!”.

L’uomo prese un bel respiro, aprì la porta ed entrò in quel luogo di pazzi ubriaconi.

Chiese all’ oste come funzionasse il gioco e lui rispose forte e chiaro:” Spendi, giochi, se vinci te ne vai a casa e se perdi bevi!!”.

Ghino di Tacco era abbastanza impaurito, ma era spinto a giocare dalla sicurezza di vincere.

La paura se ne andò e si sedette pensando alle mosse più giuste da fare.

Le prime carte non furono delle migliori, ma si riprese verso la fine della partita.

Però, mentre stava per vincere, l’ avversario concluse e se ne andò con un bel gruzzoletto compresi i soldi di Ghino, che fu costretto a bere fino ad ubriacarsi e tornò a casa solo dopo tre ore.

Da quel momento in poi, il fabbro visse una vita misera e senza speranza, fin quando pochi mesi dopo sentì suonare il campanello.

Aprì la porta e vide un uomo con vestiti eleganti e dall’ aria gentile che gli chiese subito se lo avesse riconosciuto.

Il fabbro ci pensò per qualche minuto e poi riconobbe quella faccia fortunata e gridò;” Tu sei quello che mi ha fatto andare in rovina!! Vai al Diavolo!!!” e chiuse la porta sbattendogliela in fronte.

L’uomo, di nome Federigo della BuonSalsiccia, gli disse da fuori che veniva per ridargli il doppio della cifra che aveva perso.

A quelle parole, Ghino di Tacco, senza pensarci due volte, riaprì la porta e lo abbracciò quasi piangendo. Federigo della BuonSalsiccia esclamò:” E non è tutto!”.

Se tu venissi a vedere qui fuori, vedresti i due porci e i dodici capponi che ti regalo!!”.

Il fabbro non stava più nella pelle e chiese a Federigo chi fosse davvero.

Lui gli rispose:” Io vengo dalla famiglia dei BuonSalsiccia che a loro volta derivano da una dinastia di ricchi artigiani di Roma, che si chiamavano di Tacco perché avevano una bottega di scarpe gestita da Bruno di Tacco “il tuttofare”.

L’ultimo regalo di Federigo per Ghino era Monna Oretta destinata a sposarsi con il fabbro, finalmente ricco, felice e contento.

 

(Il potere della fortuna)

 

R.D. – N.M.

 

 

 

 

 

CALANDRINO E MONNA TESSA

A Certaldo viveva Calandrino con sua moglie Monna Tessa. Lui lavorava come pittore e aveva molti clienti da accontentare, tornava sempre presto a casa, ma una sera tornò molto tardi e la moglie si infuriò. Allora l’uomo uscì e andò dai suoi amici Bruno e Buffalmacco. Per risolvere la situazione chiese aiuto e loro gli risposero che c’era una pianta speciale, l’ortica, che faceva togliere ogni arrabbiatura. Calandrino quindi andò a prendere questa pianta e tornò a casa per strofinarla addosso alla moglie. Quest’ultima, cominciò a grattarsi e si arrabbiò ancora di più cacciandolo fuori dalla porta. Ritornò dagli amici e chiese loro perché l’ortica non avesse funzionato. Bruno e Buffalmacco gli spiegarono che aveva preso quella sbagliata visto che esistevano due tipi di ortica, una che fa arrabbiare le persone e un’altra che le rende felici. Nel frattempo la moglie si era pentita di essersi inquietata per il ritardo del marito e andò a chiedergli scusa, ma volle comunque vendicarsi per lo scherzo subito. Così Monna Tessa preparò per Calandrino la zuppa più cattiva che sia mai esistita, composta da peperoncino, cipolla, aglio e aceto. Quando gliela offrì , tutta contenta, era pronta ad osservare il suo sguardo e la sua reazione. Calandrino ne bevve un sorso, gli spuntò un sorriso e disse con gioia: “Ecco! Questa sì che è buona
, altro che le solite schifezze che fai!” La moglie rinunciò a far scherzi e la coppietta, nonostante tutte queste beffe, continuò ad amarsi.

 

(Le beffe delle mogli ai mariti e viceversa)

G.L. – S.T. – N.B.

 

 

CALANDRINO E LO SMERALDO DELLA VERITA’

Calandrino era un pittore maldestro , scalmanato e anche un po’ tonto.

Un giorno il suo amico Mastro Burlotto, il giullare, decise di fargli uno scherzo !

Gli avrebbe mandato una lettera anonima su un fantomatico tesoro. Il buffone era tutto un fremito per lo scherzo!! Quando il povero artista ritornò a casa, trovò nella cassa delle lettere un biglietto con su scritto:

Caro amico sono il giullare ,

solo tu il tesoro pui trovare.

Cerca nel posto che più nero non c’è!

Sono certo che capirai

dopo aver mangiato è dove vai!

Calandrino diede un’ occhiata superficiale al biglietto e poi lo chiuse in un cassetto. Mangiò con gusto e prima di mettersi a dormire andò al bagno . Nella turca il buffone aveva sottratto una trave dal poggio e quindi Calandrino cadde nel posto che più puzzolente e buio non c’è!! Nello scarico non trovò solo feci, ma anche uno smeraldo talmente grande che non riusciva a tenere in mano

Il giorno dopo il pittore si recò da Maso il saggio per chiedergli che tipo di pietra fosse. Il sapiente si era messo in combutta con il giullare e quindi disse che era la pietra del Desiderio. Poteva far esaudire un desiderio a ogni persona che l’avesse resa polvere con un martello di cristallo.

Il pittore corse subito a far forgiare un maglio di cristallo. Per averlo dovette dare quattro capponi e cinquanta monete d’ oro. Appena diede il primo colpo alla pietra il prezioso materiale si frantumò in mille pezzi. E così Calandrino si ritrovò pieno di debiti e con il

bagno rotto.

(Le beffe di qualunque genere)

 

V.P.-L.O.

 

 

 

TARANTUCCIO E GLI OTTOCENTO FIORINI

 

Nei primi anni del Trecento, a Certaldo, viveva la grande famiglia dei Ghisa.

Questi signori avevano un servo di nome Tarantuccio, un giovincello alto e magro, con i capelli più rossi del fuoco e gli occhi più verdi delle foglie.

Il ragazzo era furbo e ingannatore, sapeva manipolare le menti degli uomini con facilità.

Un giorno, mentre spolverava con attenzione i vasi più preziosi e speciali del palazzo, sentì un urlo da fargli accapponare la pelle, fece un balzo e ruppe uno dei vasi più costosi della famiglia.

-Tarantuccioooo…saranno ore che urlo il tuo nome, che servo fannullone! – disse con aria sprezzante Monna Geralda.

A Tarantuccio si bloccò il respiro e più velocemente che potè si inginocchiò davanti alla donna,pregandola di non ucciderlo.

La signora vedendo il disastro urlò:- Tarantuccio sei un uomo morto, ti farò uccidere oggi stesso!!-

Il povero ragazzo piangendo e singhiozzando non sapeva più cosa fare e disse con aria affranta :- Signora farò di tutto pur di non perdere la testa –

-Benissimo, allora ti propongo una sfida, nelle ore in cui andrò al mercato, tu dovrai trovarmi ottocento fiorini d’ oro – sentenziò Monna Geralda con aria spavalda.

-Ci riuscirò lo prometto -disse mentre vedeva la donna uscire e avviarsi a far compere.

Tarantuccio rimuginava su come trovare quei soldi, poi gli venne un’ idea.

Corse nella sala da pranzo dove, come al solito, si trovava il padrone, Ser Orandello, ad abbuffarsi.

-Padrone ,noo ,ma cosa sta mangiando, non vede? Quello è il frutto proibito, la Rincamora!-

Il signore sputò tutto nel piatto e urlò:-E ora che faccio? Se mangio frutti proibiti tutti gli spiriti saranno contro di me –

Il giovane a quel punto iniziò la beffa…..

-Credo che l’unico modo per far dimenticare una cattiva azione sia una donazione…:-

-E cosa potrei donare?- chiese sconsolato Ser Orandello.

-Vede…- iniziò Tarantuccio

-Gli spiriti sono ghiotti solo di una cosa…denaro, credo proprio che ottocento fiorini bastino.

-Ottocento??Ma questi spiriti sono tremendi!

-E va bene- continuò Ser Orandello,-Tarantuccio vieni qua, tu caro mio dovrai correre nella foresta ,trovare l’albero più alto e scavare una buca , a quel punto troverai il mio forziere, prendi solo ottocento fiorini, non uno di più e non uno di meno.

Il servo trovò il forziere, ma invece di ottocento monete le prese tutte, diede i fiorini a Monna Geralda,che si stupì moltissimo, e fuggì via, lontano.

Diventato ormai ricco, cambiò nome e città e lasciò la famiglia dei Ghisa a chiedersi cosa fosse successo…

(Le beffe di qualunque genere)

D.G.

 

 

 

CALANDRINO E LA ROSA

Calandrino, il fabbro più sfortunato di Firenze, aveva due amici, Bruno e Buffalmacco che, essendo più furbi di lui, decisero di fargli uno scherzo. Inizialmente dovevano chiedergli se volesse diventare fortunato alla condizione di essere loro servo. Calandrino stupidamente, e senza pensarci due volte, accettò. Così misero in atto il loro losco piano. Bruno disse al fabbro che doveva andare a cercare una rosa rossa e viola da mettere al polso e non se la doveva togliere per nessun motivo. Dopo aver trovato il fiore con estrema difficoltà, perché stava diventando buio, Calandrino se lo mise al polso e tornò al paese tutto insanguinato, con le spine conficcate nella pelle e nelle gambe , dato che per trovarlo era dovuto passare in mezzo ai rovi . Tornò dai due” truffatori” , che lo costrinsero a pulire la stalla e cucinare la cena. Alla fine di quella giornata così densa di emozioni,stanco e stravolto dalla fatica, ritornò a casa,ma appena varcata la porta la moglie Luisella lo sgridò aspramente e lui , pensando che gli avesse fatto perdere i poteri, la cacciò , senza pensare che i suoi amici lo avevano ingannato, perché se fosse stato veramente fortunato non avrebbe lavorato per loro. Così Calandrino se ne restò a casa solo come un cane, con la moglie fuori che cercava di sfondare la porta.

( Il potere della fortuna)

B.D.